I DANNI INVISIBILI

Un’interessante intervista sulle conseguenze psicologiche della pandemia, con particolare attenzione ai nostri ragazzi.
“Mens sana in corpore sano” un detto di cui spesso si abusa, e di cui mai si è abusato come nell’epoca del coronavirus, dove la prima parte, la mente, lascia totalmente spazio alla paura del contagio nel corpo.
Ma non senza un prezzo da pagare.
Come se si trattasse di una componente secondaria, la salute mentale è stata accantonata da un innegabile silenzio delle istituzioni e incuria dei cittadini, e ora il rischio è che il conto sia salato soprattutto per le generazioni a venire, che secondo la psichiatra Martina D’Orazio potrebbero avere gravi danni causati dalla paura del virus.
Una paura che rischia di svilire il valore della vita a semplice sopravvivenza e che include tra i sintomi la diffidenza negli altri, nonché la rappresentazione dell’altro prima come potenziale untore, che come essere umano, amico, parente, familiare.
La spiegazione della psichiatra Martina D’Orazio
“Quali sono i danni psicologici? Fondamentalmente bisognerà vedere per quanto tempo questa situazione impatterà sulla popolazione, perché se si tratta di una situazione acuta le ripercussioni sono di un tipo. Se invece si profila uno scenario di paura, di esposizione cronica alla morte, ciò potrà causare un imprinting alle nuove generazioni. Quindi: paura dell’altro, isolamento, sospetto nei confronti dell’altro, ma soprattutto si farà strada pian piano nelle coscienze collettive il concetto di non essere in grado di fronteggiare una patologia come il Covid.
Se nell’emergenza i cittadini hanno accettato di rinunciare alle libertà personali e costituzionali per un virus come il Covid, vuol dire che sono pronti a barattare tutti questi diritti fondamentali con tutto, in nome di una sicurezza di cui non hanno bisogno. Finiranno quindi per perdere entrambi: sicurezza e libertà.
E’ proprio un problema di come ci si approccia alla morte, è quasi scomparsa la capacità dell’essere umano di contemplare la morte come parte integrante della vita. Ed è proprio il confronto con la morte e anche con la possibilità di ammalarsi che rende una vita significativa e degna di essere vissuta.
Non stiamo camminando come incoscienti in mezzo a dei cadaveri, scansandoli. Noi abbiamo sviluppato la paura rispetto a tre linee di febbre, o allo starnuto in metropolitana, quando l’essere umano sa da sempre stare al mondo sotto le bombe o con la difficoltà a procurarsi il pane“.