SIAMO A RISCHIO DI DISTANZIAMENTO EMOTIVO

Da troppo tempo ormai non ci stringiamo più la mano, non ci abbracciamo, non vediamo più i dettagli delle espressioni del viso che spesso è coperto dalla mascherina che fa perdere lucentezza ed espressività anche agli occhi, insomma non c’è più una corporeità nelle relazioni sociali ed affettive.
Non sarà che il cosiddetto “distanziamento sociale” , se protratto nel tempo, comporta il rischio di un distanziamento emotivo?
Troppa vita ancora è limitata, a volte proibita, nel momento in cui si riduce la possibilità di incontrare amici o frequentare luoghi che permettono uno scambio relazionale, inclusi gli ambienti di lavoro…
Questo vale ancora di più per la scuola, nella speranza che vengano ripristinate le lezioni dal vivo, in un contesto dove risulta fondamentale lo scambio culturale, relazionale, di interazione e socialità, fatti soprattutto di incontri e corporeità.
Aspetti che aumentano l’instabilità emotiva e l’insicurezza, diminuendo la forza di affrontare le criticità della vita, provocando una vera e propria disgregazione sociale.
Esiste inoltre un rischio meno visibile ma ancora più importante: quello della normalizzazione di quanto accaduto, dove gli eventi spiacevoli vengono sminuiti per sopportarne meglio il peso, esaltando invece gli aspetti positivi che l’esperienza negativa ha generato, evitando così che l’emozione dolorosa possa trovare uno spazio per essere espressa.
Inoltre, la diffusione di un clima di sospetto che fa vedere il prossimo come un possibile pericolo rischia di modificare in modo permanente la qualità delle relazioni, rendendoci sospettosi verso l’altro e spingendoci a mantenere le distanze, in un perenne stato di allerta per difenderci da qualcosa che “non si sa mai”, perdendo nel tempo la possibilità di fare gruppo.
Sappiamo invece tutti per esperienza diretta che la vicinanza fisica è un sostegno insostituibile nelle situazioni più difficili, perché favorisce una condivisione emotiva degli stati d’animo e delle emozioni, soprattutto in corrispondenza di vissuti dolorosi.
Il vero obiettivo quindi non può che essere il ritorno ad una normalità completa, non ad un surrogato fatto di regole che limitano la socialità delle persone, che non è un privilegio o una concessione, ma parte essenziale dell’esistenza di ogni individuo.