QUANDO IL NEMICO E’ IN CASA
Vergogna, umiliazione, gelosia, sentimenti di perdita… che cosa spinge un uomo ad uccidere i familiari più stretti, le persone che dovrebbe proteggere più di ogni altra cosa ?
Questi gesti vengono spesso raccontati come la conseguenza di un momento di follia, un raptus, delitti percepiti come «questioni private» che non è stato possibile evitare. Che influenza ha l’aspetto culturale che nutre la pretesa di disporre delle donne e della loro vita legittimando così la violenza? Ci sono anche questioni patologiche?
Ci piace pensare, anche per tutelarci in qualche modo dagli orrori, che dietro le varie forme di violenza ci sia una follia, qualcosa di insano che si nasconde dentro il carnefice e che non è possibile cogliere prima che esploda.
In effetti l’aspetto più spaventoso è che solo una minoranza degli autori di omicidi familiari è affetto da patologie psichiatriche: la maggior parte è in grado di intendere e di volere, sono persone che sapevano quello che stavano facendo e nella maggioranza dei casi il gesto estremo è stato preceduto da violenze ripetute, maltrattamenti o stalking che si sono aggravati nel tempo, non sempre denunciati.
Ciò significa che questi delitti non arrivano inaspettati, non sono fulmini a ciel sereno, ma sono preceduti da numerosi segnali che possono essere riconosciuti e analizzati per mettere in moto dei meccanismi di prevenzione e protezione.
Sono segnali che sottolineano l’aggressività, l’eccessivo senso del possesso, i divieti o i limiti imposti alla partner, le reazioni sproporzionate rispetto alle scelte della compagna che minacciano l’orgoglio maschile generando rabbia, vergogna, umiliazione e un dolore così intollerabile che sfocia in aggressività e violenza incontrollata.
In questo senso la violenza è quasi un tentativo distorto di rimediare al torto subito, esprimendo con tutta l’aggressività possibile il diritto di esercitare un potere su qualcosa che viene considerato di proprietà.
Non credo ci sia un altro metodo di prevenzione se non quello di raccontare senza sentirsi in colpa, denunciare tutti quei segnali che possono indicare il rischio di un’esplosione di violenza e, soprattutto, non temere quel giudizio sociale che ancora troppo spesso non consente alle vittime di uscire in tempo allo scoperto.
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